Open Arms

Il 6 marzo alcune classi dell’IIS Cerebotani di Lonato hanno fatto un’uscita didattica presso il cinema di Brescia per guardare il film “Open arms” e incontrarne gli esperti.

MA CHE COSA E’ OPEN ARMS?

Open Arms è un’organizzazione non governativa (ONG) spagnola fondata nel 2015, specializzata in operazioni di salvataggio in mare nel Mar Mediterraneo. Opera principalmente nel Mediterraneo centrale, soccorrendo persone in pericolo su imbarcazioni precarie, spesso partite dalle coste nordafricane (Libia, Tunisia)
dirette verso l’Europa. Navi di Open Arms sono state più volte respinte da porti europei (es. Italia e Malta), con accuse di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Notevole il caso del 2019, quando la nave rimase bloccata per 19 giorni a largo della Sicilia durante il governo Salvini. Open Arms rappresenta un simbolo della risposta civile alla crisi umanitaria nel Mediterraneo, bilanciando soccorso immediato e attivismo politico, nonostante le complesse polemiche geopolitiche.

IL FILM “OPEN ARMS”

2015, autunno. Òscar, comproprietario di una società di bagnini di Barcellona, resta sconvolto dalla foto di Alan Kurdi, il bambino siriano annegato nel Mediterraneo. Decide di partire subito per l’isola di Lesbo convincendo ad andare con lui anche il collega e amico Gerard che è da poco diventato padre. Arrivati sul posto, sono messi davanti alla dura realtà; ogni giorno migliaia di persone cercano di raggiungere terra con imbarcazioni di fortuna ma nessuno li aiuta davvero. Polizia e guardia costiera si rimbalzano le responsabilità e gli abitanti del luogo si mostrano indifferenti se non ostili. La presenza di Òscar e Gerard non è gradita. L’avvertimento è in una scritta (“Via gli stranieri”) sulla fiancata della loro Panda Rossa. C’è però qualcuno che è dalla loro parte come la proprietaria di un ristorante. Ad aiutarli nei soccorsi arrivano dalla Spagna anche Nico ed Esther, la figlia di Òscar, e al gruppo si uniscono anche un fotografo e un medico alla disperata ricerca della figlia scomparsa. Il fatto vero di cronaca ha il ritmo serrato a metà tra il western e l’action quando i protagonisti arrivano in una città ostile. La scena dal meccanico che gli ripete la cifra di 3000 euro sia per riparare l’auto sia per vendere lo spray diventa indicativa di come il luogo possa nascondere dietro la sua bellezza il suo lato sinistro. Da una parte è il luogo per i turisti con la ‘provocatoria’ immagine-cartolina del mare e la luna di notte. Dall’altra ci sono i salvagenti che galleggiano in mare e per terra e i trafficanti che buttano giù dai gommoni famiglie con madri e bambini.

Il film Open Arms si distingue per la sensibilità e la lucidità del regista Marcel Barrena nel raccontare la vicenda umana dei protagonisti, le loro difficoltà personali, familiari e il loro impegno eroico. La regia è semplice ma ambiziosa, con interpretazioni intense e una cura meticolosa in ogni dettaglio, dalle scene in mare fino alle ambientazioni. Anche se non è stato girato a Lesbo, il risultato è così realistico che non si nota.

Il fondatore di Open Arms, Òscar Camps, racconta che inizialmente era previsto di girare sull’isola, ma dopo che è trapelato il vero tema del film, sono arrivate minacce fasciste che hanno costretto la produzione a cambiare location per motivi di sicurezza. Le minacce, racconta, continuano ancora oggi, soprattutto online e in Spagna.

Camps ricorda anche con ironia l’esperienza vissuta con l’attore che lo interpretava, che lo seguiva da vicino per studiarne i gesti e la personalità. Inizialmente lo trovava inquietante, ma poi ha capito quanto fosse importante affidare la sua storia personale a mani competenti per far conoscere la causa per cui lotta ogni giorno. Anche a costo di sacrificare la propria privacy, crede sia giusto raccontare pubblicamente ciò che fanno.

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L’AUTORE

Marcel Barrena, nato nel 1981 a Barcellona (Catalogna, Spagna), è un regista, sceneggiatore, produttore e montatore spagnolo. Ha ottenuto il riconoscimento del Catalan Academy Award nel 2011 per il suo film d’esordio Cuatro estaciones ed è stato il primo regista a vincere due Premi Gaudí con due opere diverse (Cuatro estaciones e Little World). Dopo il successo del documentario Little World, ha diretto il suo primo lungometraggio di finzione, 100 metros (2016). Nel 2021 ha presentato Mediterraneo alla Festa del Cinema di Roma.

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DA DOVE È INIZIATA LA STORIA: IL RACCONTO DI OSCAR DELL’ELEFANTE:

Nel film Open Arms – La legge del mare, c’è una scena simbolica e molto toccante in cui Òscar cerca di raccontare una storia, quella dell’elefante incatenato. Questa storia ha un forte significato metaforico e rappresenta il punto di partenza emotivo e filosofico del film, oltre a riflettere il cuore della sua missione.

La storia che Òscar tenta di raccontare è una parabola spesso attribuita allo scrittore Jorge Bucay. Parla di un elefante cresciuto in cattività, legato fin da piccolo a un palo con una catena. Da piccolo, l’elefante prova a liberarsi, ma non ci riesce perché non ha abbastanza forza. Col tempo, smette di provarci: interiorizza l’idea di non poter fuggire. Anche da adulto, ormai forte e perfettamente in grado di spezzare la catena, l’elefante non ci prova più. Crede ancora di essere impotente, perché ha imparato a esserlo. Oscar vuole trasmettere un messaggio profondo sulla rassegnazione e sull’illusione dei limiti.

OPEN ARMS: PERSONE, NON NUMERI

Il film Open Arms si apre con la tragica immagine del piccolo Alan Kurdi, che all’epoca commosse il mondo intero. Oggi, però, immagini simili non suscitano più lo stesso impatto, perché ci stiamo abituando alla sofferenza.

Il regista Marcel Barrena riflette su questa assuefazione, spiegando che viviamo in un’epoca dominata dalla velocità e dalla superficialità dell’informazione. Le notizie si susseguono rapidamente, senza il tempo di approfondire o comprendere.

Secondo Barrena, l’errore che ha cambiato tutto nel caso di Alan Kurdi è stato dargli un nome: così facendo, non era più solo un numero tra tanti morti, ma un bambino con una storia. Questo ha reso la tragedia concreta e umana.

Barrena auspica che si commettano “più errori” di questo tipo: dare un volto e un nome alle vittime per restituire loro dignità, suscitare empatia e spingere le persone ad interessarsi e ad agire. Solo così si può evitare di restare indifferenti di fronte alla sofferenza.

LA PARABOLA DEI CIECHI E DELL’ELEFANTE:

Quella dell’elefante e dei ciechi, ricordata nel film, è una parabola molto diffusa nel subcontinente indiano, da cui ha origine. Si narra la storia di alcuni ciechi che non hanno mai avuto modo di entrare in contatto con un elefante, cosicché, toccandolo a turno, cercano di fare la sua esperienza confrontandosi tra di loro. Ciascuno pone la mano su una porzione delimitata e diversa del corpo dell’elefante, quindi lo descrive sulla base delle sensazioni provate. Il risultato è che ogni cieco offre una rappresentazione diversa da quella degli altri.
L’insegnamento è che gli uomini sono inclini a reclamare la verità assoluta limitandosi alle loro esperienze soggettive e circoscritte, senza prendere in considerazione il fatto che il punto di vista degli altri possa essere ugualmente vero.
La prima versione della storia la possiamo trovare nel testo buddista “Udana 6.4”, risalente alla metà del primo millennio a. C., ma secondo alcuni studiosi la parabola è probabilmente più antica del testo buddista. Esistono versioni alternative della parabola: per esempio, in una di queste non sono protagonisti dei ciechi ma dei vedenti, bendati, che tentano di descrivere una grande statua calata in un contesto di buio fitto. Pur nelle sue difformi versioni, questa parabola ha attraversato molte tradizioni religiose e si trova come parte integrante dei testi giainisti, indù e buddisti del primo millennio d. C., o addirittura precedenti.

File source: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Selznick_Kimball_Young.jpg

Significato della parabola nel film:

La parabola dei ciechi e dell’elefante ci insegna che ogni persona ha una visione parziale della realtà, influenzata dalla propria esperienza e dai propri limiti. I ciechi, toccando ciascuno una parte diversa dell’elefante, arrivano a conclusioni differenti, credendo ognuno di avere la verità assoluta. Tuttavia, nessuno riesce a cogliere l’interezza dell’elefante, proprio perché si affida solo alla propria percezione parziale.

Nel film, questa parabola viene usata per spiegare la difficoltà di comprendere pienamente la complessità umana e le tragedie vissute dai migranti. Oscar, che opera in mare per salvare vite umane, è testimone diretto di drammi che molti, lontani dalla realtà del Mediterraneo, non vedono o non vogliono vedere.

Oscar è come colui che ha visto tutto l’elefante, mentre tanti altri vedono solo un pezzo. Lui ha vissuto sulla sua pelle la disperazione dei migranti, la morte in mare, l’umanità dietro ogni singola persona che cerca salvezza. Quindi, quando afferma “Tanti non capiscono e tanti altri non possono capire”, intende dire che:

  • Ci sono persone che non vogliono capire, per ignoranza, indifferenza o pregiudizio.
  • E ci sono persone che non possono capire, perché non hanno mai vissuto o visto da vicino quella realtà, proprio come i ciechi della parabola.

Il messaggio che emerge è che nessuno può avere una visione completa del mondo senza ascoltare le esperienze degli altri. Solo attraverso l’empatia, il dialogo e la disponibilità a mettersi nei panni altrui, possiamo avvicinarci a una comprensione più autentica della realtà.
Oscar, con la sua testimonianza, ci invita a guardare oltre il nostro punto di vista e a considerare che, se non vediamo il dolore degli altri, non significa che quel dolore non esista.

Òscar, all’inizio del film, cerca di raccontare questa storia a sua figlia e a un gruppo di bambini. Ma si interrompe. Le parole gli si inceppano in gola, e non riesce a finirla. Non è solo la difficoltà di spiegare ai più piccoli una realtà così dura, ma anche l’inizio del suo personale risveglio: si rende conto che lui stesso, come l’elefante, ha accettato una realtà ingiusta senza opporsi. Questo è il punto di svolta: l’inizio del suo viaggio per non accettare più di non poter cambiare le cose.

Il tempo in “Open Arms – La legge del mare”

Il film “Open Arms – La legge del mare” presenta un ritmo serrato che riflette l’urgenza delle operazioni di salvataggio in mare. Le sequenze drammatiche utilizzano un montaggio dinamico, alternando primi piani dei migranti in preda al panico, inquadrature della nave tra le onde e momenti di tensione tra l’equipaggio. La narrazione si concentra su un arco temporale ristretto, enfatizzando la pressione sull’equipaggio e la lotta contro il tempo per salvare vite.

Le metafore del tempo includono:

  • L’orologio che scorre: simboleggia la finitezza delle risorse e la morte che incombe.
  • Il mare come spazio senza tempo: le acque del Mediterraneo rappresentano un eterno conflitto tra speranza e disperazione.
  • Il dilemma in crescendo vede il tempo come elemento chiave per costruire la tensione morale, con rischi crescenti per i migranti e pressioni sull’equipaggio. La sospensione temporale trasmette l’attesa angosciante dei sopravvissuti e dell’equipaggio, bloccati in un limbo giuridico mentre i governi europei discutono se accoglierli.
  • Il tempo è centrale nel film per il suo realismo, riflettendo la realtà delle missioni di salvataggio, e per la critica sociale, denunciando l’ipocrisia delle istituzioni attraverso il contrasto tra il tempo umanitario e il tempo politico. Il tempo non è solo una questione tecnica, ma un personaggio narrativo che plasma le emozioni dello spettatore e sottolinea il messaggio etico del film.

L’IMPORTANZA DI FARE SQUADRA

L’importanza di fare squadra emerge chiaramente come elemento fondamentale per affrontare situazioni complesse e drammatiche. Questo valore viene rappresentato non solo nelle azioni concrete di soccorso, ma anche nel modo in cui i personaggi si sostengono a vicenda, superando i propri limiti personali per un obiettivo comune più grande.

Un momento particolarmente significativo è la scena in macchina, dove Oscar, perso nei suoi pensieri e con lo sguardo fisso nel vuoto, sembra sopraffatto dal peso delle difficoltà e delle sofferenze che ha visto. In quel silenzio carico di tensione interiore, l’improvviso ritorno della figlia lo riporta alla realtà, ricordandogli che, nonostante le sue lotte personali, esistono questioni molto più grandi — come la salvezza di vite umane in mare — che superano di gran lunga i problemi individuali.

Questa scena sottolinea come, per Oscar e per tutti coloro che fanno parte della squadra di Open Arms, la forza e la determinazione derivino dalla consapevolezza che il loro impegno non è solo personale, ma collettivo. Fare squadra significa mettere da parte le proprie paure e difficoltà per agire uniti verso un obiettivo comune, più alto e urgente. È proprio questa solidarietà e collaborazione che permette loro di andare avanti, affrontare l’ignoto e salvare vite, dimostrando che, a volte, le responsabilità più grandi richiedono di superare le proprie battaglie personali per sostenere un bene superiore.

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La squadra non è solo un’organizzazione, è una famiglia:
 Il ritorno improvviso della figlia di Òscar, nel momento in cui lui sembra sopraffatto, è il simbolo più umano e profondo: ci sono questioni più grandi dei nostri drammi personali, e proprio per questo non dobbiamo affrontarle da soli.

A far riferimento a questa scena è stato il nostro prof. Domenico Marchione insegnante di IRC all’ITIS Cerebotani. Lui ci fa riflettere facendoci ragionare su questa scena dove durante le riprese finali del film si vede il protagonista inquadrato a guardare la telecamera.

Il prof. Marchione nel suo intervento ci fa notare questo squardo di Oscar che con gli occhi ci dice tutto e in realtà Oscar sta guardando proprio noi chiedendoci un opinione.

Tramite i suoi occhi, Oscar ci trasmette un invito a non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie, ma a diventare parte di quella “squadra” di cui Oscar parla, impegnandoci concretamente per un mondo più umano e solidale.

Oscar non è più solo un personaggio di un film, ma diventa quasi un testimone della realtà che ci interpella personalmente. Il suo sguardo ci sfida a riflettere sul nostro ruolo di fronte alle tragedie che vediamo o ignoriamo, come quella dei migranti in mare. È come se ci stesse chiedendo:

“E tu cosa fai? Cosa faresti se fossi nei miei panni? Hai il coraggio di agire, di fare la differenza? Hai il coraggio di non fermarti di fronte ad un ostacolo?”

 

 

 

 




Uscita cinematografica a Brescia

Una mattina di marzo, alle otto, ci siamo trovati alla stazione di Desenzano. L’aria era ancora fresca, le voci leggere, ma nei nostri occhi si leggeva l’entusiasmo per un giorno diverso dal solito. Stavamo per prendere il treno verso Brescia, destinazione: cinema. Una semplice uscita scolastica, all’apparenza. Ma si è rivelata molto di più. Il tempo passato in treno è stato breve ma prezioso. Ridere con i compagni, condividere battute, guardare fuori dal finestrino e sentirsi parte di qualcosa. Un gruppo che cresce insieme, non solo dentro le mura della scuola. Arrivati al cinema, ci siamo immersi nel buio della sala per assistere alla proiezione del film Open Arms – La legge del mare. Fin dai primi minuti, ci siamo trovati davanti a una realtà dura, cruda, a tratti sconvolgente. La storia del salvataggio dei migranti nel Mediterraneo ci ha colpiti profondamente. Abbiamo visto il coraggio di chi rischia tutto per salvare vite, ma anche l’indifferenza e le difficoltà imposte dalla burocrazia e dalla politica. È stato impossibile restare indifferenti. Il film ci ha fatto riflettere sul valore della solidarietà, sull’importanza di non voltarsi dall’altra parte. Abbiamo provato empatia, rabbia, tristezza, ma anche ammirazione per chi, come il protagonista, sceglie di agire secondo coscienza.

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Questa uscita ci ha dato molto più di un semplice momento di svago. Ci ha fatto crescere. Ci ha mostrato quanto sia importante guardare oltre il nostro piccolo mondo, aprirci agli altri, non giudicare, ma cercare di capire. Tornando a casa, il silenzio sul treno era diverso da quello dell’andata. Era pieno di pensieri, di emozioni. Forse anche di domande. Ma soprattutto, era pieno di consapevolezza. E di gratitudine per aver vissuto un’esperienza che ci ha lasciato qualcosa dentro, che ci ha unito un po’ di più come classe e come persone.

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Uscita didattica a Brescia – Open arms

Il 6 marzo 2025, io e la mia classe siamo andati in uscita didattica alla città di Brescia. Dopo aver preso il treno, siamo arrivati al nostro punto di destinazione, il Cinema Nuovo Eden, dove abbiamo assistito alla proiezione di un film molto significativo. Prima di entrare al cinema, abbiamo fatto un breve giro per la piazza principale di Brescia, un’opportunità per ammirare la città e prepararci a quello che sarebbe stato un pomeriggio pieno di riflessioni importanti.

Il film che abbiamo visto si intitola Open Arms – La legge del mare. Si tratta di un documentario che racconta le difficili e pericolose operazioni di salvataggio in mare svolte dall’associazione Open Arms, un’organizzazione non governativa che si occupa di salvare le vite dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo in cerca di salvezza. Il protagonista del film è un vero soccorritore dell’associazione, il quale ci racconta, tramite la sua esperienza diretta, la realtà drammatica delle operazioni di salvataggio, mostrandoci sia il lato umano che quello operativo della missione.

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La trama del film si concentra sulle operazioni di salvataggio in mare, mostrandoci il lavoro eroico dei soccorritori e le difficoltà che affrontano nel tentativo di salvare le vite delle persone in fuga dalla guerra, dalla povertà e dalle persecuzioni. Attraverso le immagini e le testimonianze di chi è coinvolto in queste missioni, il film ci porta a riflettere sul dramma della migrazione e sull’importanza di una risposta umanitaria e solidale.

Quello che mi ha colpito di più è stato vedere con i miei occhi il coraggio e la sofferenza delle persone in fuga. Spesso sentiamo parlare di immigrazione nei telegiornali, ma è facile dimenticare che dietro ai numeri ci sono esseri umani veri, con emozioni, paure e sogni. Nel film si vede chiaramente quanto sia pericoloso il viaggio e come, invece di trovare aiuto, queste persone spesso si scontrano con l’indifferenza o addirittura con ostacoli che impediscono loro di essere salvate. È assurdo pensare che qualcuno possa voltarsi dall’altra parte davanti a certe situazioni.

Un altro aspetto che mi ha fatto riflettere è la differenza tra chi decide di agire per salvare vite e chi invece cerca di fermare questi salvataggi. Il film ti mette davanti a una domanda scomoda: noi cosa faremmo al loro posto? È facile giudicare quando si è lontani da certi problemi, ma davanti a scene così forti diventa impossibile restare indifferenti. Ti rendi conto che certe cose non dovrebbero nemmeno essere una scelta: aiutare chi è in difficoltà dovrebbe essere un dovere di tuttOpen Armsi.Open ArmsOprn Arms

Dopo la proiezione, un team di italiani ci ha mostrato un video molto forte, in cui si vedevano immagini reali dei salvataggi in mare. Questo filmato mi ha colpito tantissimo, perché mostrava in modo diretto come avvengono i soccorsi e quanto sia complicato e pericoloso il lavoro di chi opera nel Mediterraneo. Si vedevano i volontari recuperare persone in condizioni disperate, cercando di metterle in salvo tra onde enormi e situazioni di panico. È stato un momento davvero intenso, che ha reso tutto ancora più concreto.Open Arms

In conclusione, Open Arms non è solo un film, ma un vero pugno nello stomaco. Ti fa aprire gli occhi su una realtà che spesso preferiamo ignorare e ti fa capire quanto sia importante la solidarietà. È una storia che merita di essere vista, perché parla di umanità, di coraggio e del diritto di ogni persona a essere salvata. Dopo averlo visto, non si può fare a meno di chiedersi cosa possiamo fare noi per cambiare le cose.

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Green Book

GREEN BOOK


Un viaggio tra pregiudizi e umanità

Il razzismo è un tema che continua a segnare la storia della società e di conseguenza trova spazio nel mondo del cinema. Green Book (2018) è uno degli esempi più toccanti, diretto da Peter Farrelly e vincitore di tre Oscar. Il film racconta il viaggio nel sud degli Stati uniti del pianista afroamericano Don Shirley e del suo autista italoamericano Tony Vallelonga.

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Il contesto storico

Il titolo si riferisce al Green Book, una guida realmente esistita che aiutava le persone nere a trovare alloggi e ristoranti sicuri negli stati segregazionisti del sud degli Stati Uniti.

Negli anni ’60, figure come Martin Luther King stavano guidando proteste civili contro la segregazione e per garantire il diritto di voto agli afroamericani, eventi come la marcia di Washington (1963) e il Civil Rights Act (1964) rappresentavano primi passi per il cambiamento.

Oltre alla segregazione, il contesto storico era segnato da violenze fisiche e psicologiche contro le persone nere. Le aggressioni e gli arresti arbitrari erano strumenti di controllo sociale.

Molte città del sud applicavano il «sundown town rule» ovvero il divieto agli afroamericani di rimanere in città dopo il tramonto, quindi avere una guida come il Green Book non era solo utile ma essenziale per la sopravvivenza.Immagine5

La cultura afroamericana

Nonostante il razzismo, gli afroamericani contribuirono enormemente alla cultura americana, soprattutto nella musica. Artisti neri portarono la loro arte nei teatri e nelle sale da concerto «bianche» ma l’assurdità della loro condizione di vita era evidente: potevano esibirsi davanti a platee di bianchi ma non potevano cenare negli stessi ristoranti o alloggiare negli stessi hotel. Questo è rappresentato nel film attraverso le esperienze di Don Shirley, protagonista del film, un artista di un talento incredibile, che sul palco veniva trattato come un ospite importante ma disprezzato fuori dal teatro.

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Il razzismo nei rapporti umani

Il viaggio tra Tony Vallelonga e Don Shirley è soprattutto un viaggio di trasformazione, infatti all’ inizio Tony dimostra dei pregiudizi razziali, rispecchiando la società dell’epoca ma successivamente il diretto contatto con la cultura e l’umanità del protagonista, portano Tony a mettere in discussione le proprie convinzioni. Questo ci fa notare come il razzismo sia basato sull’ignoranza e come il contatto tra culture permetta di superare questi pregiudizi infondati.

Don Shirley di conseguenza rappresenta la complessità dell’identità nera durante il periodo della segregazione: si sente infatti, intrappolato tra due mondi, troppo bianco per essere accettato nella comunità nera, e troppo nero per integrarsi nella società bianca.

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Critiche e polemiche

Nonostante il grande successo del film, non è stato esente dalle critiche del pubblico. Le critiche principali sono legate al fatto che molti sostengono che il film presenta una visione troppo semplificata del razzismo riducendolo ad una serie di atti di intolleranza; mentre molti critici vedono nel film il fenomeno del «white savior» ovvero quando una persona bianca aiuta ad affrontare le problematiche delle persone che appartengono a minoranze razziali assumendo il ruolo dell’ eroe.

Tra le altre polemiche sul film, emergono quelle della famiglia di Don Shirley che sostengono che i fatti narrati non siano corretti in quanto il pianista e Tony non sono mai stati amici stretti ma a difesa di ciò intervenne il figlio di Tony spiegando che il film, si basa sui racconti del padre.

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Riflessioni e conclusioni

Green Book non offre una soluzione al razzismo ma ci consiglia a riflettere sulla possibilità di cambiamento personale e collettivo. Il cambiamento di idea di Tony ci mostra come il contatto con altre culture e la volontà di mettersi in discussione permetta il superamento dei pregiudizi razzisti.

Il film ci invita a guardare oltre le etichette per conoscere più profondamente chi ci sta davanti, una problematica presente tutt’oggi perciò possiamo dire che il «viaggio» verso l’uguaglianza è ancora in corso.

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Uscita didattica per la visione di “Io capitano”

In data mercoledì 7 febbraio 2024 le classi 3ªJT, 3ªF, 3ªB e 4ªG, accompagnate dai docenti Prof. Giovanni Quaini, Prof.ssa Fabiana Sansone, Prof.ssa Maria Camilla Azzini, Prof. Libero Lorenzoni, si sono recati presso “Nuovo Cinema Eden” per la proiezione del film Io capitano”. Di seguito l’articolo scritto dagli studenti Baruffa e Cenedella (3ªB).

“Io Capitano” è un film che narra la storia di due giovani cugini senegalesi, Seydou e Moussa, che sognano di andare in Europa. I due lavorano e risparmiano per pagare il viaggio, e hanno una grande passione per la musica. Seydou è un ragazzo più timido e riservato, Moussa è più audace e intraprendente. Il film parla del loro percorso da Dakar fino alla costa, in cui dovranno affrontare molteplici difficoltà lungo il loro cammino. “Io capitano” è un film che si focalizza principalmente sulle tematiche che riguardano molte persone in Africa che vogliono intraprendere questo viaggio della speranza, per cercare una nuova vita e un nuovo futuro: vengono fatti riferimenti anche altre tematiche come il razzismo oppure la diversità dei paesi africani rispetto a quelli europei. È un viaggio che parte dal Senegal per cercare di trovare una nuova vita in Italia o in Europa, dato che le possibilità nei paesi africani sono decisamente inferiori rispetto a quelle nei nostri paesi europei. La storia di questi due cugini è formata da momenti di gioia e felicità, a momenti di tristezza in cui non sapevano se sarebbero riusciti a completare il viaggio. Tutto questo è stato anche fatto all’insaputa della madre di Seydou, che è stata fondamentale per la crescita del ragazzo data la mancanza del padre: tutto questo per dire che, a volte, l’inseguimento di un sogno è più grande della propria sicurezza e della tranquillità delle persone a cui vogliamo più bene. Un messaggio forte che sicuramente può essere molto utile ai giovani e non solo, un messaggio che definisce le nostre paure e ci dà una soluzione, che può sembrare folle per alcuni, per rispondere a quesiti sulla nostra vita, come la scelta del futuro migliore. Seydou e suo cugino hanno attraversato il deserto per un obiettivo comune e, nonostante tutto, il pensiero di abbandonarsi a vicenda quando c’erano i problemi maggiori, non sfiorava minimamente le loro teste: questa è un’altra dimostrazione della forza di volontà e del significato di fiducia reciproca. “Io capitano” è un film che stupisce perché sono situazioni che avvengono quotidianamente in Africa e in altri paesi, ma questa è una tematica di cui, anche nelle scuole, non si parla molto e, di conseguenza, gli studenti non comprendono queste situazioni. Il regista, Matteo Garrone, è riuscito a far comprendere le vite di persone meno fortunate e contemporaneamente a dare un messaggio di forza e speranza, accompagnando tutto questo con delle immagini molto forti ma significative. Consigliamo vivamente di vedere questo film perché è importante informarsi ma anche capire cosa accade a non molti chilometri da noi, anche perché tutto questo accade ancora oggi e non viene dato il massimo per aiutare persone che cercano un futuro migliore perse stessi e le loro famiglie.

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-Baruffa e Cenedella (3ªB)




Il Miglio Verde

Durante le ultime lezioni del prof. Domenico Marchione abbiamo guardato il film The Green Mile, tradotto Il Miglio Verde, il quale ci ha fatto riflettere sull’inutilità della pena di morte.

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TRAMA

1999, Louisiana. In una casa di riposo, l’anziano Paul Edgecombe scoppia a piangere guardando il film “Cappello a cilindro”. Quando viene interrogato da un’amica sul motivo della sua afflizione, lui inizia a narrarle delle vicende trascorse con John Coffey.

Nel 1935 Paul lavorava presso Il Miglio Verde, nome assegnato al braccio della morte del penitenziario Cold Mountain. La routine del luogo viene un giorno scossa dall’arrivo di John, accusato di aver ucciso due gemelline e per questo condannato alla sedia elettrica. Ma durante il suo soggiorno, John si mostra agli occhi di Paul tutt’altro che uno spietato criminale, sembra invece un uomo dotato di un carattere buono e con incredibili poteri soprannaturali.

Diversi avvenimenti poi, che vedranno coinvolti personaggi come Percy Wetmore, un violento poliziotto, e il criminale Wild Bill, permetteranno a Paul di scoprire la verità sul caso.


TEMATICHE

La tematica principale del film è la pena di morte, rappresentata da diversi punti di vista: c’è chi la vede come una punizione per il crimine commesso (chi presente all’esecuzione), altri come un addio ai detenuti che con la morte espieranno i propri peccati (secondini, sacerdote, etc).

John Coffey vede la morte come una liberazione, e come Gesù Cristo (le iniziali di Jesus Christ coincidono a quelle di John Coffey), prima di morire compie dei miracoli: regalando a Mr Jingles e a Paul una lunga vita.

Il poliziotto Percy, per la sua indole malvagia, vede la morte con divertimento. La scena più eclatante è quella dell’esecuzione di Eduard Delacroix: nella quale dimentica, di proposito, di bagnare la spugna che avrebbe permesso una morte più rapida.

Viene anche trattato il tema del razzismo, per il fatto che al tempo un uomo di colore di bassa condizione sociale non potesse che essere considerato autore del crimine.


COMMENTO

Questo film ci ha fatto riflettere sull’importanza della vita e sulla facilità con cui può essere tolta, quindi portandoci a prendere posizione sull’argomento, anni dopo l’abolizione in Italia, ma non ovunque nel mondo.

A fronte del fatto che con la pena di morte colui che uccide viene a sua volta ucciso dallo Stato, il quale dovrebbe invece mantenere l’ordine, e che non potendo tornare indietro, nel caso successivamente venisse scoperta l’innocenza del condannato, lo Stato si macchierebbe di un crimine imperdonabile.


Elisa Mazza e Alessandro Poli, 1B




Wonder

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In classe abbiamo spesso parlato di quanto sia fondamentale essere uno diverso dall’altro, dell’avere ognuno una propria identita’ ma anche dell’importanza dell’accettare ognuno le proprie diversità e quelle degli altri. Per approfondire meglio l’argomento, il nostro professore ha deciso di farci  vedere il film Wonder che, a differenza del serissimo argomento che tratta, è  un film molto “leggero” e divertente.  È un film che parla del bullismo e di quanto faccia male ma ci viene mostrato anche che c’ è sempre un modo per uscirne; certo può non essere semplice e sembrare quasi impossibile farsi accettare dagli altri per quel che siamo veramente ma bisogna sempre tenere la testa alta e non lasciarsi mai condizionare da coloro i quali vogliono farci dimenticare noi stessi. che i genitori di Auggie gli dicono il suo primo giorno di scuola ed è anche la questa è la frase frase che lo accompagnerà, credo, durante tutto l’anno scolastico perché non l’ho mai visto mollare nonostante tutte le cattiverie dei compagni. Si è fatto dei nuovi amici e insieme a loro è cresciuto. “Se non ti piace quello che vedi, cambia il tuo modo di guardare” è per tutti gli insegnamenti nascosti dietro ad ogni argomento trattato in questo film che mi è piaciuto molto; perché mostra di quanto noi ragazzi abbiamo bisogno di avere al nostro fianco degli amici ma soprattutto i nostri genitori che spesso diamo per scontati ma la cui assenza la sentiamo nonostante il nostro essere “grandi”. Ci fa capire quanto sia importante accettare gli altri ma soprattutto noi stessi…perché nessuno di noi ha bisogno che nella sua vita ci sia un altro critico all’infuori di noi stessi. Siamo noi gli unici a poterci giudicare ma siamo anche gli unici a doverci accettare perché gli altri non vedranno mai oltre a quello che ognuno di noi lascia loro vedere.




A.C.A.B. (All cops are bastard)

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Durante le lezioni di religione, con argomentazione “uso corretto/scorretto dell’autorità’’, abbiamo avuto la possibilità di guardare un film intitolato A.C.A.B.

Nel film  dei poliziotti dei gruppi antisommossa della polizia di stato affrontano dei drammi personali e durante il lavoro, rischiando di sfogarsi durante le sommosse, andando quasi ad uccidere persone, che erano esclusivamente da fermare o arrestare.

Alla fine del film, alcuni di questi poliziotti vengono processati sia per i reati, commessi sia nella vita personali che sul lavoro. Spesso i protagonisti vanno anche fieri di queste azioni “  nel contrastare la violenza ripagandola con la stessa moneta, cioè con metodi duri e poco ortodossi soprattutto con l’uso della forza. Enti che agiscono in questo modo, sfogandosi sul lavoro, non portano rispetto della divisa indossata.

A.C.A.B. è un motto del movimento skinhead inglese degli anni ’70, diventando negli anni un richiamo universale alla guerriglia urbana. Gli scontri tra i manifestanti e agenti sono sempre più aggressivi e i casi di membri di polizia e carabinieri che non svolgono in maniera opportuna, come possiamo rammentare del caso di Stefano Cucchi. Gli scontri ora, come negli anni ’70, non sono solo fisici ma sono anche testuali, dai graffiti ai testi nelle canzoni. Le persone che, comunque, decidono di svolgere questo lavoro, devono accettare e convivere con il fatto che hanno degli obblighi da seguire. Uno di questi obblighi e’ il rispetto dell’ uniforme, gestire le azioni che si compiono e le circostanze in cui avvengono con equilibrio e misura. Gli agenti coinvolti in questi casi devono essere giudicati, tenendo conto anche della situazione delle loro vittime.

Scritto da: Gianluca Stefàno




Selfless

Selfless_movie_Review

Non c’è fine senza inizio
In ogni cosa che finisce c’è l’inizio di qualcos’altro. La morte non è in opposizione alla vita e dove c’è la nascita c’è anche la morte perché la vita include tutto questo. Possiamo prendere come citazione la canzone di Cesare Cremonini:“siamo solo di passaggio”.

La paura di morire
La maggior parte delle persone hanno paura di morire perchè si legano soprattutto alle cose materiali dandogli molto peso e trascurano il valore della vita interiore e spirituale.
Pensando che morendo si perde tutto.

Le nuove scoperte scientifiche su come allungare la vita
Negli ultimi tempi la tecnologia a fatto enormi passi in avanti gli scienziati pensano che il segreto sta nelle cellule,infatti in Francia e in Croazia hanno scoperto un processo dove le cellule vengono ringiovanite un’ altra invenzione è l’utilizzo di un composto che rallenta l’invecchiamento detto “elisir di lunga vita”.

La criogenesi
E’ la scienza che permette di ibernare il corpo consentendo la sua conservazione o del solo cervello a costi differenti questo è possibile soltanto post-mortem.
Queste persone sperano che con l’evolversi della scienza in futuro verranno scongelate e riportate in vita,al momento non esiste una tecnica che riporti in vita le persone.
L’argomento è trattato anche in un cartone animato intitolato “Futurama”.

Il valore della sofferenza
Diversamente dalle persone che hanno paura di morire o da chi spera in una vita immortale ed eterna c’è chi prende il valore della vita in un altro modo.
Un esempio è Paolo un uomo che da 13 anni è malato di SLA,inizialmente si è posto le domande che si farebbe chiunque cioè: “perché proprio a me,cosa ho fatto di male”. Ma poi attraverso una riflessione ha pensato che non era una disgrazia ma che era diventato un privilegiato (Dio l’ha scelto).

Riflessione personale
Un nostro parere personale sulla criogenesi è quello che secondo noi la vita va vissuta nel migliore dei modi ma nel tempo che ci viene dato e che non c’è vita senza la morte.
Un altro spunto che si può prendere in considerazione è quello del film “Logan” dove il protagonista è immortale e spiega che vivere in eterno porta soltanto sofferenze perché si perdono continuamente le persone care

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=qjL6CKhWErM

Michele Venturini e Andrea Rezzola




22 Luglio

22luglio

LA BANALITA’ DEL MALE

Durante le lezioni con il professor Marchione, abbiamo avuto la possibilità di guardare un film intitolato “22 luglio”, il quale parla di alcuni attentati terroristici architettati e compiuti dal giovane Anders Breivik. In questi attentati sono stati colpiti sia gli edifici governativi di Oslo (capitale norvegese), sia un campo estivo di formazione politica per adolescenti svolto sull’isola di Utoya, nelle vicinanze della capitale. Gli attentati furono commessi il 22 luglio del 2011 ed essi provocarono: otto morti quello di Oslo e sessantanove quello di Utoya, per un totale di 77 vittime.
Il primo attacco consistette nell’esplosione di un’autobomba agli uffici governativi all’incirca alle ore 15, mentre il secondo attacco avvenne meno di 2 ore più tardi, dove Anders Breivik, travestitosi da poliziotto, munito di documenti falsi e con un fucile militare, attaccò i ragazzi presenti al campo, uccidendone 69 e ferendone 110, di cui 55 in condizioni gravi. Questo fu l’attacco più violento avvenuto in Norvegia dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli attacchi furono messi in pratica per fermare il partito laburista norvegese e, in particolare, la “decostruzione della cultura norvegese per via dell’apertura all’immigrazione in massa dei musulmani”, citazione dell’attentatore; queste idee presero ispirazione da a un gruppo inglese di estrema destra, l’English Defence League (EDL), da lui ammirato “per come era riuscito a provocare reazioni estreme da parte di gruppi musulmani e di estrema sinistra”, prospettava di creare un suo gruppo con ideali simili. Il gruppo terroristico di cui faceva parte Breivik veniva chiamato “L’ordine dei cavalieri templari”, nonostante ciò, lui venne riconosciuto come unico responsabile.

Dal punto di vista generale, l’imposizione di qualsiasi ideale con la forza non è corretto, in quanto ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero riguardante un concetto politico, o di qualunque altro tipo, il quale deve essere trasmesso, comunque, attraverso una propaganda pacifica, ovvero che non provochi vittime o danni alla società, che sia quindi utile solo per far conoscere la propria idea ad altre persone. Così, in un futuro che potremmo definire “idealistico”, dove la forza della ragione prevale sulla ragione della forza, si potrà realizzare un’amministrazione politica senza danni e morti, dove ogni persona, indipendentemente dal paese nel quale si trova, potrà presentare le sue idee politiche o religiose e di qualunque altro tipo, nel rispetto delle opinioni altrui.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=3tDssbWRnO0

Articolo realizzato da:
Gianluca Stefàno
Federico Anchieri