La Forza del Rispetto: Riflessioni sulla Violenza di Genere e il Ruolo della Comunità
L’evento “In nome loro”, che abbiamo avuto l’opportunità di vivere il 3 novembre, organizzato dall’Università degli Studi di Brescia, non è stato semplicemente una conferenza o un incontro informativo, ma un’esperienza che ha toccato profondamente ciascuno di noi. Le parole di Gino Cecchettin, colpite dal dolore di una tragedia personale, hanno risuonato come un grido di consapevolezza e responsabilità. Un grido che ha fatto luce su una realtà difficile da affrontare ma impossibile da ignorare: la violenza di genere. La sua testimonianza ci ha mostrato quanto spesso questo fenomeno si nasconda tra le pieghe della quotidianità, mascherato da gesti che, all’apparenza, sembrano espressioni di affetto o preoccupazione. Ma il controllo, l’isolamento, le parole degradanti e il possesso non sono amore. Il suo intervento ci ha fatto riflettere su come la violenza possa radicarsi lentamente, quasi inosservata, in una relazione che un giorno può rivelarsi devastante.

Uno degli aspetti più toccanti del suo racconto è stato proprio il modo in cui ha sottolineato la fragilità del confine tra una relazione sana e una che si trasforma in un incubo. Il dolore che ha vissuto, il lutto per una perdita insostenibile, non solo ha dato una dimensione umana e concreta al tema della violenza di genere, ma ci ha fatto capire che la violenza non è mai una “soluzione”. Non è una risposta all’amore, ma una perversione di esso. È un atto che distrugge, che uccide l’anima e il corpo di chi ne è vittima. Gino Cecchettin ci ha chiesto di non restare indifferenti, di non voltare lo sguardo, di non giustificare mai il comportamento violento, nemmeno quando si maschera dietro pretesti come “l’amore” o “la gelosia”. La sua esperienza, sebbene tragica, ci ha dato una lezione di speranza e di lotta per il cambiamento. Un cambiamento che possiamo promuovere iniziando dal nostro comportamento quotidiano.
Le sue parole ci hanno fatto comprendere che il problema non è circoscritto a situazioni isolate, ma è un fenomeno che coinvolge tutti noi, ognuno a suo modo. Anche noi giovani abbiamo una grande responsabilità. La violenza di genere non è una questione che riguarda solo le vittime o le forze dell’ordine; ci riguarda tutti, nel nostro ruolo di amici, parenti, compagni di scuola e cittadini. La violenza inizia con piccoli segnali, spesso impercettibili, che se ignorati possono crescere e diventare devastanti. Possiamo, come individui, educare noi stessi e gli altri al rispetto. Possiamo intervenire quando vediamo comportamenti preoccupanti, anche se farlo richiede coraggio. E se la violenza è anche una questione di cultura, come ci insegna Gino Cecchettin, allora la cultura del rispetto deve cominciare fin da giovani.
Questa esperienza mi ha portato a riflettere sull’importanza del ruolo della scuola, della famiglia e delle istituzioni. La scuola non deve solo trasmettere conoscenze teoriche, ma deve diventare un luogo di educazione al rispetto e alla consapevolezza. Un luogo in cui si imparano le emozioni, le relazioni, il dialogo sano. L’informazione è uno strumento potente, e la scuola deve essere il primo posto dove giovani e giovanissimi possano confrontarsi su temi delicati come la violenza di genere, imparando a riconoscerne i segni e a difendersi. La famiglia, dal canto suo, ha la responsabilità di educare all’empatia, alla comprensione, all’ascolto, elementi essenziali per costruire relazioni basate sul rispetto reciproco. Le istituzioni, infine, devono essere pronte a intervenire, a offrire supporto concreto a chi è vulnerabile, a garantire una rete di protezione per chi sta subendo violenza. Non basta più, come spesso accade, limitarsi alla denuncia dei casi di violenza, ma è necessario investire in prevenzione, formazione e supporto psicologico.
La violenza sulle donne, purtroppo, è una realtà che non riguarda solo storie lontane, ma è una piaga che affligge anche la nostra realtà quotidiana. Negli ultimi anni, infatti, sono stati molti i casi di cronaca che hanno coinvolto la Lombardia, e in particolare le province di Brescia e Bergamo, confermando una tendenza preoccupante. La tragica morte di Maria, avvenuta solo qualche mese fa a Brescia, è uno degli episodi più drammatici che hanno segnato la nostra comunità. Maria era una donna di 42 anni che, dopo anni di soprusi, è stata uccisa dal compagno, che non accettava la sua decisione di separarsi. La vicenda ha sconvolto la città, mostrando come la violenza possa radicarsi in un contesto che sembra “normale” fino a quando non esplode in un atto di violenza inarrestabile.
Pochi mesi prima, sempre a Brescia, un altro caso ha attirato l’attenzione delle autorità: una giovane donna di 30 anni è stata aggredita dal partner durante una discussione. La situazione è degenerate fino a un intervento dei carabinieri che ha impedito una tragedia ancora maggiore. La vittima, che aveva denunciato precedentemente l’uomo, è stata costretta a vivere sotto protezione. Questi episodi, purtroppo, sono solo la punta dell’iceberg, e sono emblema di una violenza silenziosa che colpisce spesso nel cuore delle nostre città. Nel Bergamasco, il fenomeno non è meno grave. Solo lo scorso anno sono aumentati i casi di stalking e di aggressioni fisiche all’interno di relazioni che all’inizio sembravano sane e affettuose. La rete di protezione per le donne vittime di violenza è ancora troppo debole, e se non si interviene tempestivamente, i danni psicologici e fisici possono rivelarsi irreparabili. Questi episodi sono un campanello d’allarme che dobbiamo ascoltare, affinché non diventino il triste leitmotiv delle nostre cronache quotidiane.
Questa esperienza, però, mi ha anche dato una consapevolezza: non dobbiamo più accettare passivamente la violenza come parte della nostra realtà. Se ogni giorno scegliamo di agire, di parlare, di denunciare, possiamo davvero sperare in un futuro migliore. La lotta contro la violenza di genere è una lotta di tutti. È una sfida che ci riguarda direttamente e che dobbiamo affrontare con la convinzione che solo attraverso il rispetto, la sensibilizzazione e la solidarietà possiamo sperare di costruire una società più giusta e più umana. Ogni piccolo gesto, ogni parola, ogni azione che compiamo può fare la differenza. Non possiamo più permetterci di restare in silenzio. È tempo di cambiare le regole del gioco e di farlo insieme, per un futuro dove nessuno sia costretto a vivere nel terrore o nella sofferenza.
Moran Silvestri 5B





































