La scuola, maestra di vita

scuola_lavagna

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E’ risaputo come la scuola sia fondamentale per la formazione di un ragazzo o di una ragazza che un giorno si troverà faccia a faccia con il mondo del lavoro.

Noi dell’ I.T.I.S di Lonato, infatti, siamo ben preparati riguardo a questo aspetto.

Oltre ad essere preparati in materie come Italiano e Storia, siamo indirizzati in uno specifico settore, il quale ci offre una vasta gamma di attività didattiche improntate su quel particolare corso di studi.

Con il Professor Domenico Marchione però, abbiamo anche affrontato un aspetto della scuola che a volte sembra essere lasciato in secondo piano.

Si tratta dell’educazione alla CITTADINANZA e l’insegnamento di valori MORALI che ci formino come le persone di domani.

Il programma scolastico e la necessità di essere valutati, infatti, sembra a volte sovrastare la vera e più profonda finalità della scuola stessa, cioè quella di diventare maturi e di saper come comportarsi una volta terminati i cinque anni di preparazione.

In questo secondo quadrimestre, noi alunni della 3° E Informatica, siamo stati coinvolti in un progetto che mirava a responsabilizzare le persone al rispetto dell’ ambiente attraverso l’implementazione della raccolta differenziata in tutto l’istituto.

Siamo in oltre stati chiamati a fare un cartellone da appendere all’entrata della scuola per mostrare a chiunque entrasse nell’edificio la giusta propensione che la scuola assume nei confronti di attività importanti come questa.

Il riciclare può erroneamente apparire come secondario e opzionale dato che non ha una rapida conseguenza sulla nostra quotidianità ma andrà senza dubbio ad influire sull’intero ecosistema ed è quindi indispensabile attenersi a ciò che richiede.

Un’altra importante attività che ci ha visti impegnati non solamente come classe, ma anche come scuola, è stata la visita del 7 maggio del Vescovo, il quale non ha soltanto riunito tutto l’istituto Luigi Cerebotani ma ha anche permesso a noi alunni di chiarire alcuni dubbi legati a temi d’attualità legati comunque al pensiero e alla dottrina della Chiesa Cattolica.

Sia il discorso tenuto con i docenti che quello tenuto con tutti i partecipanti sono stati di grande ispirazione e ci hanno dato l’ausilio necessario per terminare l’anno scolastico cercando di fare il proprio meglio in sintonia con gli altri colleghi.

Siamo certi che non ha tutti i partecipanti queste attività abbiano giovato lasciando un segno nella propria crescita e nel proprio cammino verso l’adultità… ma noi ci sentiamo comunque positivi e siamo molto contenti di essere stati scelti dal Professor Marchione come partecipanti di entrambi i progetti.

Come direbbe Walt Whitman: “Che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso…” noi della 3° E , dopo tutto quello che abbiamo imparato in questo periodo, possiamo dire di poter contribuire con un buon verso…

Cordiali saluti.

Rino Bellandi – Mario Libro - Marco Serri




Il sogno del bosone

cern

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INTRODUZIONE E IPOTESI

Noi del The B(oson)-Team pensiamo di poter vincere questa competizione in quanto riteniamo che il nostro progetto sia utile e creativo e speriamo che un esperimento nei vostri avanzati laboratori di Ginevra possa essere l’occasione cruciale per risolvere uno dei dilemmi di più difficile comprensione della nostra epoca: lo scompenso tra materia ed antimateria rilevabile nel nostro universo.

In base alle nostre conoscenze in materia di Big Bang, riteniamo che i possibili scenari riguardanti le prime fasi dello sviluppo dell’universo, ancor prima dell’istantanea espansione di cui ora si discute, possano essere solamente tre:

  • Se materia e antimateria erano presenti in egual quantità, l’unica spiegazione logicamente plausibile è che, al termine dell’annichilazione, vi sia un sopravanzo di materia, le cui cause sono tuttora sconosciute;
  • In caso contrario, già ai primordi sarebbe dovuto sussistere uno squilibrio tra le quantità di materia e antimateria;
  • Oppure, ancora, si potrebbe supporre che materia e antimateria rimangano separate da ampi spazi intergalattici, dando origine ad ammassi stellari di materia e altrettanti ammassi stellari di antimateria. All’osservazione astronomica l’antimateria non potrebbe essere riconosciuta, infatti essa produce gli stessi fotoni della materia ordinaria.

Ora, considerando che la seconda e la terza ipotesi non possano essere verificate ne smentite sperimentalmente, non resta che valutare la possibilità che la prima risulti verificata.

Per fare ciò, la cosa più semplice da fare è allestire un acceleratore di particelle in modo tale da produrre un fascio di pochissimi antiprotoni, i quali poi annichileranno in maniera controllata con i protoni degli atomi che compongono una sottilissima lamina metallica posta come target, e controllare se dopo tale annichilimento il numero di protoni “consumati” sia pari o inferiore al numero di antiprotoni rilevati nel tratto subito antecedente (da cui verranno ovviamente sottratti gli antiprotoni che verranno rilevati nel tratto oltre la lamina e che quindi non saranno annichiliti).

SCHEMA SPERIMENTALE

Il fascio di antiprotoni sarà prodotto facendo collidere il fascio primario con un target posto nell’area T9 dell’acceleratore PS. Tale fascio passerà quindi nel rilevatore Cherenkov 1, in cui verrà verificato il tipo delle particelle in passaggio.

Nel tratto subito successivo verrà posto un magnete curvante che selezionerà solo le particelle con la minima energia (0,5 GeV), e un collimatore che scremerà nuovamente solo gli antiprotoni in moto rettilineo, con angolo nullo rispetto all’asse dell’acceleratore, agendo come un selettore di velocità. Inoltre il rilevatore Cherenkov 2 verificherà nuovamente il tipo di particelle passanti e lo scintillatore ne conterà il numero esatto.

Tali antiprotoni a bassa energia e in moto rettilineo verranno quindi fatti schiantare contro un target di piombo o di altri metalli (una lamina molto sottile) e verranno rilevati e contati, da scintillatori e Cherenkov (o altri rilevatori) posti intorno al target, gli eventuali protoni e/o antiprotoni in passaggio.

SCHEMA SPERIMENTALE ALTERNATIVO

In alternativa, si potrà utilizzare un fascio di positroni e, seguendo la stessa procedura descritta sopra, farlo annichilire con una nube elettronica opportunamente mantenuta in posizione al centro dell’acceleratore tramite degli elettromagneti.

Durante il percorso, verrà inoltre posto un Lead Crystal Calorimeter per ridurre ancora l’energia dei positroni.

Gli elettromagneti per il target dovranno avere delle caratteristiche definite: non dovranno essere troppo lunghi in quanto devierebbero la direzione di eventuali protoni o antiprotoni che non avessero preso parte all’annichilimento, ma dovranno essere solo grandi a sufficienza da mantenere in sospensione magnetica nel centro dell’acceleratore la nube.

L’utilizzo di una nube di elettroni come target sarebbe a nostro avviso preferibile in quanto si eviterebbe la formazione di residui esterni allo scontro programmato, che potrebbero  quindi essere rilevati e alterare i risultati ottenuti.

CONSIDERAZIONI E ANALISI DEI RISULTATI

I possibili scenari osservati dai rilevatori saranno in sostanza tre:

  • Se tutti i protoni e antiprotoni (o positroni ed elettroni) collideranno e annichiliranno, sarà sufficiente controllare la presenza di eventuali protoni, quark o (se possibile) neutrini prodotti
  • Se non tutti i protoni e antiprotoni (o positroni ed elettroni) collideranno e annichiliranno, i rilevatori permetteranno di contare il numero di particelle che non hanno preso parte al fenomeno ed eliminarli quindi matematicamente dal conteggio
  • Se tutti i protoni e antiprotoni (o positroni ed elettroni) collideranno e annichiliranno, e non si formerà alcun prodotto aggiuntivo, l’ipotesi di partenza dovrà essere considerata falsa, e quindi vi sarà un’ipotesi in meno da analizzare per rispondere al quesito iniziale (come disse Albert Einstein: “Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”).

Come in ogni esperimento scientifico saranno necessarie numerose prove per convalidare i risultati ottenuti, un solo esperimento non può significare nulla di certo.

Se la nostra ipotesi fosse verificata si potrebbe passare alla stesura di una teoria che chiarificherebbe ciò che ha portato al prevalere della materia sull’antimateria, una teoria che cambierebbe la concezione generale di molti teoremi fisici ed astrofisici.

Speriamo che questa nostra proposta possa essere scelta per la sua originalità e per il suo valore scientifico, nonché per l’entusiasmo di noi che l’abbiamo ideata. Per noi sarebbe in ogni caso un’esperienza unica e insostituibile, che ci cambierebbe la vita.

Speriamo di vederci presto.

The B(oson)-Team




Viaggio a Udine, Gorizia, Trieste, Aquileia e Grado

Trieste-Castello di Miramare

Trieste-Castello di Miramare

E’ tra le lacrime dei professori affranti per la partenza dei loro alunni preferiti che la classe 3F, mercoledì 12 marzo 2014, ha lasciato la stazione ferroviaria di Desenzano  alla volta del Friuli Venezia Giulia.

Fortunatamente la tristezza e la malinconia molto sentita anche dagli studenti è svanita ben presto, lasciando spazio ad un vivace clima di allegria, non sempre apprezzato dagli altri passeggeri…

Dopo la sistemazione all’ hotel San Giorgio di Udine, abbiamo subito avuto modo di ammirare le bellezze della città, da quelle storiche a quelle viventi.

Interessante anche la cittadina di Gorizia, nonchè il suo castello, con affascinanti esempi di vita dell’ IX secolo, comprendenti raffigurazioni agghiacciantemente realistiche a scala naturale dei cavalieri dell’ epoca.

Non da meno è stata la visita a Trieste, con l’ affascinante molo Audace, l’ enorme piazza dell’ Unità d’ Italia, e l’ eccezionale castello di Miramare, che ci ha regalato panorami mozzafiato. Abbiamo avuto modo di rivivere in parte gli orrori commessi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale nella tristemente famosa risiera di San Sabba.

Un particolare grazie è rivolto alle due amiche dell’ alunno Tucci, le quali, incontrate casualmente alla fermata dell’ autobus adiacente al campo di lavoro, si sono offerte di condurci gratuitamente in un giro guidato del centro storico triestino.

Come da programma, abbiamo potuto recarci anche ad Aquileia, ed infine a Grado, dove gli studenti, esausti per i chilometri macinati fino ad allora, hanno potuto trascorrere una rilassante giornata in spiaggia, giocando a pallone tra le escavatrici intente ad asportare cumuli di sabbia oppure a fare il primo bagno della stagione: la temperatura dell’ acqua era sorprendentemente calda, dettaglio che è stato urlato a gran voce dai natanti nei primi minuti di immersione.

Abbiamo avuto modo di conoscere questa regione italiana anche dal punto di vista culinario, attraverso le degustazioni nei tipici McDonald’s locali, e nelle pizzerie delle stazioni ferroviarie. Per quanto riguarda la sistemazione, siamo rimasti pienamente soddisfatti.

Come al solito la 3F, in linea con la sua reputazione nella scuola, ha mantenuto un comportamento pari a quello di una classe modello.

Ma il ringraziamento più grande, va alla professoressa Paghera e al professor De Girolamo, che si sono offerti di accompagnarci nel viaggio di istruzione e si sono trasformati in eccellenti guide turistiche per quattro giorni.

Ciò nonostante , è da evidenziare la scarsa inclinazione del docente di telecomunicazioni nell’ offrire da bere ai suoi studenti.

L’ unica lamentela è stata sporta dalla scheda di memoria della fotocamera dello stesso insegnante, la quale si è ritrovata intasata dalle innumerevoli foto di gruppo, alcune delle quali sono riportate di seguito.

Non c’è che dire, questi quattro giorni di gita rimarranno impressi nei cuori degli studenti della 3F come indimenticabili momenti di allegria e divertimento, ma anche di arricchimento del bagaglio culturale personale e scoperta di realtà regionali diverse dalla Lombardia.

Un’ esperienza quindi da ripetere in futuro!

Leonardo Mutti




Progetto Peer Education

Gruppo Peer Education

Gruppo Peer Education

Nell’anno scolastico 2012/2013, all’I.I.S Luigi Cerebotani di Lonato del Garda, è partito il progetto “Peer Education”.  Il progetto consiste nella educazione dei ragazzi e delle ragazze dell’istituto alle problematiche riguardanti le tematiche delle droga e delle MTS (malattie a trasmissione sessuale). Il concetto base del progetto è l’insegnamento tra pari (peer), cioè nella classi interverranno studenti che hanno seguito un corso con gli esperti Lucia Zazzio e Uber Sossi dell’ASL di Brescia. I primi incontri consistevano nell’approfondimento di se stessi, delle proprie conoscenze, qualità e limiti. Successivamente è stato costituito un gruppo solido capace di lavorare in armonia, che ha permesso anche ai più timidi di rapportarsi con i coetanei superando le proprie paure acquistando più autostima. Lo step successivo consisteva nell’analizzare le problematiche interne all’istituto e sono emerse in particolare l’uso improprio di sostanze stupefacenti (alcool, droghe e tabacco) e la mancata sensibilizzazione delle MTS (malattie a trasmissione sessuale).  All’inizio dell’anno scolastico 2013/2014 si sono creati i due gruppi per affrontare le tematiche emerse precedentemente. Il gruppo sostanze stupefacenti, ha iniziato con l’esaminare le proprie conoscenze e a discuterne con gli esperti, discutendo sulle conseguenze dovute all’assunzione di esse. Rendendo così possibile la suddivisione delle sostanze in categorie. Negli incontri successivi abbiamo iniziato a formulare un questionario anonimo che verrà sottoposto alle classi prime dell’anno scolastico 2014/2015. I risultati che otterremo ci permetteranno di focalizzarci su una tematica da approfondire durante gli incontri nelle varie classi. Durante gli incontri il gruppo MTS ha parlato di contraccettivi, periodi fertili, malattie sessualmente trasmissibili e di come noi prendiamo la sessualità. Non sono state rare le discussioni e si sono resi conto che purtroppo hanno una bassa conoscenza. L’anno prossimo interverranno somministrando un questionario anonimo alle classi seconde e si comporteranno analogamente al gruppo che ha analizzato l’abuso di sostanze, andando quindi a verificare lacune e/o curiosità e a parlare con i loro coetanei pronti a chiarire

Frasson Alessia, Moreni Matteo, Paghera Lorenzo




Vita in trincea (in memoria della Grande Guerra)

centenario-grande-guerra

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Tutti sanno la storia della Prima Guerra Mondiale e,purtroppo, viene ignorata la condizione umana dei soldati. Focalizzerò l’attenzione sui soldati italiani. La Grande guerra si è combattuta prevalentemente nelle trincee, un fossato scavato nel terreno al fine di offrire riparo al fuoco nemico, è un antichissimo sistema difensivo utilizzato nelle guerre di posizione. Una delle zone più combattute del fronte italiano durante la Grande Guerra fu la zona del Carso isontino, l’altopiano pietroso che da Gorizia scende fino alle spalle di Monfalcone e all’attuale provincia di Trieste. Essa fu costruita tra il 1915 e il 1917. Dentro la trincea tutto era difficile. Durante il periodo bellico i soldati dovevano affrontare dei momenti durissimi in prima linea, in strutture più o meno provvisorie, con il costante terrore di essere prima o poi colpiti da qualche cecchino o dal ricevere l’ordine di prepararsi all’assalto. Esperienze che segnarono molti uomini per tutta la vita, come dimostrano i molti casi di malattie mentali sviluppate già durante la guerra o appena tornati nelle proprie case. Sin dall’inizio la preparazione dell’esercito fu assolutamente insufficiente rispetto a quelle che erano le caratteristiche di questa guerra ,soprattutto per una guerra che sarebbe durata ben quattro anni. Molti soldati combatterono con in testa dei semplici berretti, inutili contro i proiettili nemici e ,peggio, non disponevano di pinze taglia fili in grado di creare velocemente dei varchi tra i reticolati nemici, posizionati tra la prima linea offensiva e la prima linea difensiva. Di conseguenza più un soldato perdeva tempo in questa operazione, più probabilità c’erano di essere colpiti dai nemici. Le scarpe erano del tutto inadatte per resistere al fango o al terreno pietroso del Carso o delle montagne. Le ferite erano molto frequenti così come i congelamenti, curati con lo stesso grasso che avrebbe dovuto servire per lucidare le calzature. Le borracce per l’acqua erano di legno (assolutamente anti-igieniche) mentre le tende per dormire (quando c’erano) erano inutilizzabili con la pioggia.  Molto spesso i soldati furono costretti a crearsi degli alloggi di fortuna per la notte, in buche coperte da un semplice telo, in anfratti del terreno dove si dormiva gli uni attaccati agli altri per disperdere il meno calore possibile. La guerra si è combattuta anche in montagna ad altitudini molto elevate (fino a 3000m le cime del Massiccio dell’Adamello) Anche se in queste luoghi non mancarono brigate di semplice fanteria (del tutto inadatte ad affrontare situazioni del genere), la maggior parte dei combattenti appartenevano al corpo degli Alpini. Si trattava di giovani reclutati nelle zone di montagna, abituati a spostarsi su questi terreni, a sopportare le temperature rigide e ad ubbidire agli ordini senza porsi troppe domande. Per oltre due anni rimasero in quota combattendo, trasportando materiali, armi, attrezzature, viveri e costruendo baraccamenti, appostamenti e sistemi trincerati . Lo stupore aumenta nello scoprire come gli equipaggiamenti distribuiti agli Alpini furono assolutamente inadatti alla vita in quota. Nonostante il clima estremo (non erano rare le nevicate estive), nella maggior parte dei baraccamenti la sola fonte di riscaldamento erano i piccoli fornelletti per le vivande. I vestiti di lana erano pochi e molti dovettero costruirsi degli occhiali da sole (utilizzando dell’alluminio) per prevenire i danni dei raggi solari. Inoltre per tutto il 1915 i soldati combatterono con le loro uniformi grigio-verdi che, in mezzo al manto nevoso, erano facilmente individuabili dai nemici. Solamente l’anno successivo furono distribuite le prime tute bianche che garantivano una maggiore mimetizzazione. Ma oltre ai soldati in prima linea, la guerra in montagna ebbe anche degli altri protagonisti. Si trattò dei cosiddetti portatori, i quali volontariamente si arruolarono per trasportare dalle retrovie (su pesanti ceste) armi, munizioni, materiale e cibo ai soldati in cima alle montagne. Essendo però la gran parte degli uomini impegnati in guerra, in alcuni casi questo ruolo fu ricoperto dalle donne. Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell’alimentazione. Le battaglie, la militarizzazione dei territori e le razzie provocarono devastazioni nei raccolti e lo svuotamento dei magazzini. Le famiglie nelle retrovie furono vittime di carestie e di malattie dovute a carenze alimentari gravi mentre il rancio dei soldati diventava ogni giorno più esiguo e scadente. La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in trincea come blocchi collosi. Il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre. Scaldarlo una seconda volta non faceva che peggiorare la situazione, rendendo il cibo praticamente impossibile da mangiare. Il problema della qualità era parzialmente sopperito dalle quantità distribuite. A differenza infatti del rancio austro-ungarico (molto più esiguo, specialmente nell’ultimo biennio), l’esercito italiano dava ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta (o riso),frutta e verdura (a volte), un quarto di vino e del caffè. L’acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno. Per coloro che si trovavano in prima linea la gavetta (o gamella) era leggermente più grande. Prima degli assalti inoltre venivano distribuite anche delle dosi più consistenti con l’aggiunta di gallette, scatole di carne, cioccolato e liquori. Per molti ragazzi nati alla fine del XIX secolo, la Grande Guerra fu l’avvenimento che segnò per sempre la loro giovinezza. I primi furono la classe ’96 fino ad arrivare alla ’99. Molti (circa 370 mila) hanno deciso di emigrare all’estero , possibilmente oltreoceano. Altri invece decisero di disertare consegnandosi al nemico sperando di trovare delle condizioni migliori nelle prigionie austro-ungariche rispetto a quelle nelle trincee. Altri ancora decisero di fingersi malati , pazzi o persino infliggersi delle ferite in modo che non venissero presi. I casi più comuni furono quelle da arma da fuoco, procuratesi su un piede o su una mano in modo da ottenere perlomeno una licenza dalla prima linea di alcune settimane. Ma non mancarono casi più gravi come bruciature, lesioni agli occhi e alle orecchie, gonfiori provocati da iniezioni sottopelle e l’assunzione di medicinali che potevano provocare delle reazioni allergiche. Nel corso della guerra gli equipaggiamenti e la vita nelle trincee migliorarono sensibilmente. Dopo il primo anno, nella primavera del 1916 iniziarono ad essere distribuite nuove dotazioni che contribuirono a rendere meno dura la vita sul fronte. Apparvero i primi elmetti, consegnati inizialmente ai reparti addetti a tagliare i fili dei reticolati e poi anche alle sentinelle. Le calzature furono più moderne e robuste ed i reparti impegnati in montagna ricevettero dei scarponi chiodati, molto più adatti per gli spostamenti. Entro l’inverno comparvero anche i primi sovrascarpe pesanti ed i primi cappotti. Molti altri aspetti invece rimasero identici e, in particolare, la crudeltà con cui gli alti gradi militari decidevano della sorte dei propri uomini. Cadorna, un personaggio senza dubbio carismatico ma anche controverso, rimase convinto per tutta la durata del suo incarico che l’unico modo utile e giusto per condurre una guerra fosse l’attacco ad ogni costo, senza badare alle conseguenze. I soldati perciò dovevano uscire dalle trincee appena giungeva l’ordine. Chi esitava o si rifiutava, veniva colpito dagli spari dei carabinieri posizionati alle loro spalle. All’interno dell’esercito ci fu anche una pesante censura dei giornali non autorizzati, le lettere scritte ai propri famigliari per evitare che nel resto del Paese si diffondesse l’idea che la guerra non stava andando secondo i piani. Uno degli aspetti meno conosciuti della vita in trincea e in retrovia fu quello delle punizioni e dei processi ai soldati. Luigi Cadorna infatti, sin dall’inizio della guerra, aveva ordinato la massima severità per il mantenimento della disciplina e il rispetto dell’autorità. Atteggiamento che, nel corso del conflitto, si irrigidì sempre di più assumendo spesso i contorni di una spietata crudeltà . I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto ad esempio potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni di carabinieri mentre la censura in trincea divenne ogni giorno più oppressiva. Qualsiasi lettera scritta dai soldati non poteva contenere informazioni diverse da quelle pubblicate dai giornali italiani e doveva trasmettere entusiasmo per la guerra. Chi non rispettava queste indicazioni rischiava la condanna al carcere militare. L’aspetto più tragico e crudele furono però le condanne a morte a carico dei soldati. È stato calcolato che tra l’ottobre del 1915 e l’ottobre del 1917 furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali dovute ai motivi più disparati. Uno dei casi più celebri fu quello della Brigata Catanzaro, avvenuto a Santa Maria la Longa nel luglio del 1917. I soldati, dopo aver combattuto in prima linea sul Carso isontino, sull’Altopiano di Asiago e poi nella zona del Monte Ermada, furono trasportati nelle retrovie a riposare. Gli uomini erano stremati: da molto tempo le licenze erano state sospese e la difficile vita in trincea li provò notevolmente. Dopo pochi giorni, anziché essere trasferiti in un settore più tranquillo, gli fu ordinato di riprendere la strada verso il terribile Monte Ermada. A quel punto scoppiò la rivolta: 9 soldati e due ufficiali vennero colpiti a morte e solo l’intervento dei blindati e dell’artiglieria leggera fermò l’ira della Brigata Catanzaro. Ristabilita la calma,  i comandi militari decisero di dare un messaggio esemplare: 12 soldati, scelti a caso, vennero giustiziati e 123 furono mandati davanti al Tribunale Militare. La vita sul fronte costrinse gli uomini a convivere continuamente con la presenza della morte. In qualsiasi momento del giorno e della notte, all’improvviso, un proiettile o una scheggia di granata avrebbero potuto togliere la vita. Appare quindi quasi naturale, in mezzo a questa situazione irreale, la presenza della religione, vissuta come fede o più semplicemente come superstizione. Questa necessità nella vita di un soldato fu risolta dalla presenza dei cappellani militari nell’esercito e dalla massiccia distribuzione di santini e materiale devozionale. Milioni di santini, cartoline e libri di preghiere furono stampati grazie al lavoro di alcune istituzioni religiose come la Santa Lega Eucaristica e l’Opera per la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Immagini religiose, allegorie, preghiere e suppliche furono i soggetti principali che i soldati potevano vedere e leggere ogni giorno. In questi cartoncini si trovavano stampate ad esempio la preghiera di pace di Papa Benedetto XV e l’immagine di Maria come Regina della Pace che invitava a rispettare il nemico dopo la sua uccisione. Oppure si cercava di tranquillizzare il soldato con parole di accettazione per la morte vista come una fatalità, consapevole che la Madonna avrebbe comunque vegliato su di lui. I più scaramantici invece appendevano, all’altezza del cuore, un cartoncino con scritto “Fermati!” Si trattava di una sorta di supplica (e speranza) rivolta all’eventuale pallottola nemica. Spesso si è portati a pensare alla guerra come ad un avvenimento violento dove due contendenti combattono fino all’eliminazione del proprio avversario senza mostrare nessun segno di pietà. La realtà però fu diversa: i soldati di tutti i paesi, accomunati dallo stesso destino, dalle fatiche quotidiane della vita in trincea e da un senso di umanità ancora vivo, furono in grado di stabilire dei contatti pacifici con i nemici e di “proclamare”, in certe occasioni, delle tregue. La più celebre tra queste fu senza dubbio la cosiddetta “Treguadi Natale del 1914″ quando sul fronte occidentale i soldati francesi e tedeschi si scambiarono gli auguri di Natale e dei piccoli doni, sospendendo i combattimenti per una settimana. Questo genere di episodi avvennero anche sul fronte italiano, specialmente in quelle zone del fronte dove la distanza trale linee trincerate era esigua (ad esempio sulla cima del Pal Piccolo, in Carnia). Questi contatti spesso servivano per barattare del cibo o oggetti che il proprio esercito non distribuiva. Gli austro-ungarici ad esempio richiedevano soprattutto qualcosa da mangiare data la situazione precaria del loro rancio. Ogni soldato aveva diritto infatti a soli 250 grammi di pane, 100 di pasta e 80 di carne, quindi molto meno rispetto agli italiani. Al contrario i soldati dell’Impero possedevano quasi sempre del tabacco che scarseggiava tra gli italiani. Il tutto doveva essere compiuto con la massima discrezione: chi veniva scoperto poteva essere denunciato di collusione con il nemico e punito con 10 anni di prigionia.

Marius Trica




Un giorno al Museo del Ferro

Museo del Ferro

Museo del Ferro

Era un giovedì mattina, come gli tutti altri, quando durante l’ora di Sistemi il preside è entrato in classe dandoci un avviso. Esso riguardava una gita offerta dall’Associazione Imprenditori Bresciani, insieme alla classe 4^G, prima a Odolo (dove è situato il Museo del ferro) poi in Feralpi. Presi dall’entusiasmo le ore seguenti non ascoltammo le lezioni pensando solo alla gita e a quanto ci saremmo divertiti.

Arrivato il giorno della gita, dopo tre giorni di pioggia, speravamo solo che il tempo reggesse; quindi siamo partiti. Giunti a Odolo ci siamo divisi in due gruppi dove uno andava al Municipio a vedere un video interessante sulla storia di Odolo e delle varie fucinerie del tempo; l’altro invece venne accolto da un gentilissima guida che ci accompagnò nella visita dell’ultima fucineria museizzata del posto. Questa fucina era addetta a forgiare utensili per agricoltura come vanghe, badili e zappe. Per ottenere questi utensili si usava il maglio, una semplice macchina che per lavorare sfruttava l’energia dell’acqua in quantità stabilita dal “Pütì della stanga” che riceva ordini dal “Maestèr”. I gentili signori, che per anni hanno svolto questo lavoro, hanno dimostrato a noi ragazzi il processo di lavorazione per la creazione  di un’utensile (guarda video). Alla fine della lavorazione il “Maestèr”, un vecchietto di novant’anni ancora molto energico, ha regalato al professor Marchione la vanga appena realizzata come ricordo dell’esperienza.

Finita la visita e dopo un giro al mercato del posto, i due gruppi si sono riuniti e con il nostro pullman siamo tornati a Lonato per il pranzo e la visita nell’azienda Feralpi.

Dopo un delizioso pranzo gentilmente offerto, ci siamo riuniti in un’aula dove ci è stato illustrato il piano gestionale dell’azienda, come e cosa si fa in questa ditta e infine provvisti delle dovute protezioni abbiamo iniziato la visita di essa.

Per prima cosa siamo stati dove gli operai caricano tonnellate di rottami di ferro in grosse “pentole” che poi vengono trasportate nell’altoforno, poi salita una rampa di scale siamo entrati nella cabina di comando di quest’ultimo e sotto la spiegazione del capo-reparto abbiamo visto lo scarico del ferro fuso e il funzionamento del forno (guarda video). Prima di arrivare al magazzino siamo andati nel capannone dove i tondini di ferro vengono lavorati e tagliati a misura, infine vengono immagazzinati negli appositi spazi.

La giornata si è conclusa con un bellissimo ricordo di quest’esperienza; purtroppo due giorni dopo abbiamo saputo della morte di Davide Rebusco, alunno della classa 4^G che con la sua simpatia e il suo sorriso aveva animato quella bellissima gita rendendola ancora più speciale.

Michelangelo Vailardi, Nicolò Raisoni e Leonardo Avigo




Alternanza scuola lavoro a.s. 2013/2014

OMR

Officine Meccaniche Rezzatesi

Nelle ultime settimane di Gennaio circa 120 alunni, tra i diversi indirizzi di meccanica, elettronica e di formazione professionale, sia di quarta che di quinta, hanno tenuto un periodo di stage presso le più svariate aziende della provincia. Il territorio lombardo è conosciuto a livello internazionale per l’elevata qualità nella produzione di stampi e per le migliaia di aziende di piccolo-medio livello di cui per una settimana anche noi ragazzi abbiamo fatto parte. Un’esperienza che mi ha messo a confronto con un ambiente completamente nuovo, ossia il mondo del lavoro. Una realtà che la scuola tenta di emulare, a cui prepararci nel migliore dei modi, restando però sempre alla base di essa. Non si possono fare grandi paragoni tra la vita di uno studente e quella di un lavoratore e tutto ciò mi ha fatto riflettere. Nel mio caso ho affrontato le rinomate “Officine Meccaniche Rezzatesi” conosciute in tutto il mondo con l’acronimo di “OMR”. Un’impresa che ha un forte impatto sul territorio italiano, come si può notare dalle varie opere pubbliche che ha finanziato nei diversi comuni, ma che ha diverse filiali
in tutto il mondo come in India, Marocco e Cina. Questa grande azienda si occupa di produrre vari componenti nella sfera dell’automotive, spaziando dai basamenti-motore di casa Lamborghini fino ai polmoni del motore Ferrari. Un colosso del settore che ha ormai un secolo di storia, una società con un fatturato di molte centinaia di milioni di euro, un gruppo di migliaia di lavoratori dipendenti che ha trovato un piccolo posto anche per me. La giornata lavorativa, per me stagista, iniziava alle otto di mattina, con una pausa pranzo di un’ora, per concludersi poi alle cinque di sera. Sin dal primo giorno sono stato indirizzato in ufficio tecnico, dove veniva gestita la produzione. Qui mi hanno spiegato le, ormai necessarie, misure di sicurezza, i vari settori della struttura e il programma della settimana a cui
dovevo assistere. Con un breve giro dell’azienda mi hanno fatto vedere le varie tipologie di macchinari delle più svariate dimensioni: dai più vecchi ai più tecnologici, quelli semplici e quelli che lavoravano in catena con altri, quelli in cui la presenza dell’operatore era necessaria e quelli totalmente robotizzati.
Mi hanno poi spiegato la situazione della commessa che avrei trattato. Si trattava della foratura della scatola del cambio di un piccolo motore Rotax. La lavorazione consisteva nell’eseguire svariati fori con una macchina semi-automatizzata di discrete dimensioni. I fori realizzati venivano controllati manualmente e successivamente in una postazione dove si trovavano i Marposs: strumenti elettronici di forma circolare in grado di rilevare irregolarità nell’ordine del decimillesimo di millimetro. Le
misurazioni rilevate venivano memorizzate dalla stazione Marposs e potevano essere trasferite ai computer in ufficio per una loro elaborazione. Infatti, la sera, dopo aver lavorato alla macchina e aver eseguito i vari controlli, osservando delle svariate problematiche che si presentavano puntualmente nell’arco della giornata, il mio compito era quello di prelevare quei dati e analizzarli in ufficio assieme agli ingegneri. Grazie ad un programma grafico si poteva osservare l’andamento delle rilevazioni nel
tempo, confrontarle con i dati passati e con le previsioni future. Quell’insieme di puntini suggeriva numerose informazioni e si prestava a numerose considerazioni, molte delle quali però mi sfuggivano.
Di giorno in giorno mi hanno mostrato poi i diversi aspetti del loro ambiente e di tutte le altre attività. Ricordo in particolare un enorme laboratorio, mantenuto rigorosamente alla temperatura di 21 gradi, nel quale venivano fatte delle precisissime rilevazioni dimensionali dei pezzi, attraverso un imponente tastatore. Attraverso di esso, lavorando con una silenziosità incredibile, il pezzo in questione veniva sfiorato con delle minuscole sfere per trasferire le dimensioni al famoso software Pro-E, il quale eseguiva ulteriori verifiche a livello informatico. La complessità della macchina, prodotta dalla società Zaiss, era tale che in una settimana ho solo potuto osservare i tecnici senza approfondire molto altro.
In quelle circostanze però era necessaria una discreta capacità di lettura del disegno tecnico alla quale sono risultato piacevolmente competente. Infine l’ultimo giorno, prima di andare via, ho avuto un brevissimo colloquio di arrivederci con il proprietario delle aziende: è stato per me un momento davvero emozionante date le circostanze. In tantissime occasioni ho imparato qualcosa di nuovo e in molte altre ho messo in pratica le conoscenze teoriche che la scuola mi aveva suggerito. Un’esperienza
questa, che apre gli occhi a noi giovani su com’è realmente il mondo al di fuori della scuola, in che proporzioni le teorie sono presenti nella pratica e quanto conta l’insostituibile esperienza. Inoltre potrebbe essere stata una finestra sul mio prossimo futuro dato che sono entrato proprio in questa
azienda per i contatti che ho con le persone che vi sono all’interno e perché si è parlato anche di un ipotetico rapporto di lavoro quando avrò finito gli studi.

Michele Corradini




Visita al centro accoglienza della Caritas diocesana veronese

Il_samaritano

Il Samaritano

Il giorno 12 e 19 dicembre alcune classi dell’istituto, la 1F, la 1E e la 2F sono state in visita al centro accoglienza della Caritas diocesana veronese “Il Samaritano”.

Questa realtà accoglie le persone, Italiane e straniere che sono in grave difficoltà e soprattutto sono senza casa e spesso e volentieri con pochi o nessun legame familiare.

I motivi per cui le persone arrivano al Samaritano sono i più svariati ma soprattutto a causa di dipendenza come alcol, droga e ultimamente gioco d’azzardo.

Il Samaritano si pone l’obiettivo lavorando in rete con altri centri di aiutare la persona ad affrontare i problemi e reinserirsi nella società.

L’obiettivo della visita è stato quindi quello di far vedere agli alunni anche questa faccia della vita e della società e mostrargli come sia possibile, mettendo del proprio tempo a servizio del prossimo, aiutare concretamente chi è in grave difficoltà a ricominciare una nuova vita.

Gli alunni hanno prima di tutto ascoltato una breve presentazione del centro, poi dopo qualche domanda hanno fatto una visita ai vari locali: centro diurno (falegnameria, sala scrittura, biblioteca, sala creatività..), mensa, stanze da letto… poi c’è stata una bella attività di simulazione di una situazione di disagio “tipo” dove i ragazzi si sono messi in gioco. Infine c’è stata una bella testimonianza di maurizio, un ospite che è uscito dal tunnel dell’alcolismo e che ha testimoniato e fatto capire ai ragazzi come abusare di alcol distrugga la vita.

Gli alunni sono stati molto colpiti da questa visita e dalla testimonianza facendo molte domande e soprattutto capendo, come hanno dimostrato alcune dichiarazioni, che il loro contributo per una società migliore è fondamentale.

Domenico Marchione




Nuove bandiere all’ingresso principale

bandierePorgo il mio saluto ed il mio sentito ringraziamento a tutte le autorità civili, militari e religiose che oggi hanno voluto accettare il mio invito per partecipare a questa cerimonia con la quale ufficialmente issiamo orgogliosi la nostra nuova bandiera, rinnovata nel suo aspetto per mantenerne vivo il valore e per non dimenticare il profondo significato simbolico che ha attraversato secoli di storia per arrivare fino ai nostri giorni.
La bandiera italiana è nata nel 1794, quando due studenti di Bologna, Giovanni Battista De Rolandis e Luigi Zamboni, tentarono una sollevazione contro il potere assolutista che governava la città da quasi 200 anni. Come vessillo della loro rivolta, si ispirarono alla bandiera della Rivoluzione francese, ovvero il tricolore in cui sostituirono il blu con il verde della loro speranza. Speranza che naufragò nel giro di poche ore: il moto fallì prima di nascere e i due giovani furono giustiziati.
Il Regno d’Italia venne proclamato diversi anni dopo, il 17 marzo del 1861, e il tricolore fu considerato la bandiera ufficiale anche se la sua definizione giuridica avviene nel 1925 quando la bandiera di Stato, oltre ai tre colori, mostra anche lo stemma della casa reale. Dopo la Seconda guerra mondiale, caduto il fascismo e abolita la monarchia, nasce la Repubblica e con essa la bandiera che sventoliamo oggi. L’Assemblea Costituente la approva il 24 marzo del 1947 e l’articolo 12 della nostra Costituzione la descrive così: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni”.
Il significato allegorico del Tricolore, in tutta la sua storia, è rimasto quello del traguardo di un popolo che mirava ad avere Giustizia, Uguaglianza, Fratellanza. Tre obiettivi senza i quali non ci può essere Dignità, Democrazia, Prosperità.
Gli ideali ed i valori rappresentati dalla bandiera tricolore che noi oggi intendiamo far sventolare, vanno sottolineati e tramandati per rafforzare il comune senso di appartenenza alla nazione, in particolare tra le giovani generazioni. I ragazzi di oggi, senza una guida adeguata che li aiuti a comprendere i passaggi e gli eventi storici che hanno determinato la nascita del nostro Paese, rischiano di non comprendere i numerosi e spesso tragici sacrifici che si sono compiuti in nome dell’unità d’Italia.
La storia, quindi, ha il compito di insegnare e dalla storia noi dobbiamo imparare, la storia ci ricorda e deve continuare a ricordarci i sacrifici di chi ci ha preceduto, perché solo
attraverso questa conoscenza riusciremo a capire chi siamo, ma soprattutto chi vogliamo essere. Dobbiamo allenare questa nostra capacità di ascolto. Dobbiamo imparare ad ascoltare la storia e le testimonianze come se fossero amici che ci parlano all’orecchio. Ogni italiano deve conoscere la storia dell’Italia, deve conoscere le persone che hanno reso l’Italia la nazione che noi oggi vediamo, le persone che hanno “fatto” l’Italia.
Oggi come allora, soprattutto in questo particolare momento storico, il nostro Tricolore riassume i naturali “Diritti dell’Uomo”, le aspirazioni di tutte le genti, la volontà di chi crede nella propria nazione volta al progresso, con leggi adeguate, senza divisioni, con gli stessi doveri ed i medesimi privilegi per tutti. Un paese dove non ci siano discriminazioni, dove la morale e l’etica siano guida costante per un’esistenza felice e serena.
Questo è scritto nella nostra bandiera, e questo è quanto sognavano quei due studenti che l’hanno ideata e difesa sino a sacrificare la propria vita.
Per questo noi oggi siamo qui, per onorarla e per portarle il rispetto che merita, oltre che per mantenere alti gli ideali che rappresenta.
Il nostro Tricolore si affianca alla bandiera blu trapunta di stelle che è il simbolo dell’Unione europea, ma anche quello dell’unità e dell’identità dell’Europa in generale.
Sullo sfondo blu del cielo, una corona di dodici stelle dorate rappresenta l’unione, la solidarietà e l’armonia dei popoli europei. Il numero delle stelle è simbolo di perfezione completezza ed unità. Con l’introduzione dell’euro in tutti i paesi che aderiscono all’Unione Europea si è verificato, anche se in parte, il sogno di Altiero Spinelli, konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, i quali dopo la Seconda guerra Mondiale hanno sognato una europa unita e pacificata. Il cammino è ancora lungo, le forze che si oppongono alla costituzione di un governo unico che amministra tutti i paesi europei sono presenti e fanno sentire la loro voce. Ma riteniamo che il cammino è tracciato difficilmente si potrà tornare indietro. Spetterà anche a voi difendere questo ideale di pace e di prosperità. In questo momento sedici nostri alunni sono a Berlino ospiti di altrettante famiglie coordinate dalla nostra scuola partner di Ruedersdorf. E’ il terzo anno che i nostri alunni hanno la possibilità di visitare Riesa e Berlino e rendersi conto dell’importanza di conoscere una lingua straniera, di conoscere altri usi e costumi e in definitiva di allargare il proprio orizzonte culturale.
Accanto alla bandiera italiana ed europea onoriamo anche la bandiera delle nazioni unite.
L’ONU, Organizzazione delle Nazioni Unite, è nata per organizzare e promuovere la pace e la collaborazione fra i popoli. Fu istituita alla fine della Seconda Guerra Mondiale a San Francisco; la sua sede si trova a New York e ne fanno parte 191 Stati.
La sua struttura organica è complessa: l’ONU si divide in Assemblea Generale, Consiglio di Sicurezza, Consiglio Economico e Sociale, Consiglio di Amministrazione fiduciaria, Corte Internazionale di Giustizia e Segretariato. Inoltre, dal 1998, esiste la Corte Internazionale di Giustizia che ha sede a l’Aia nei Paesi bassi; si tratta di un tribunale che giudica i crimini commessi contro l’umanità.
Il Consiglio di Sicurezza è formato dai 5 paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale (USA, Gran Bretagna, Russia, Francia, Cina) che possono opporsi alle decisioni degli altri organi. Ai Paesi che compongono il Consiglio di Sicurezza se ne aggiungo altri 10 che vengono eletti ogni 2 anni dall’Assemblea.
Ban Ki Moon è il Segretario Generale dell’ONU.
L’ONU si avvale di preziosi aiuti, quelli dati dalle agenzie autonome collaboratrici.
L’Unicef, ad esempio, si occupa di tutto ciò che riguarda il mondo dell’infanzia e le sue situazioni più a rischio operando attraverso programmi di sviluppo a lungo termine.
L’Oms, a Ginevra, ha il compito di promuovere la collaborazione internazionale nell’ambito della sanità farmaceutica.
La Fao in qualità di Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura ha il dovere di aiutare chi è soggetto a povertà e malnutrizione nei Pesi più poveri.
L’Unesco (Organizzazione delle Nazione Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) con sede a Parigi, promuve gli scambi culturali e mira alla diffusione dell’istruzione in tutto il mondo.
Ad occuparsi dello scambio commerciale fra gli Stati è il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, che si trova a Ginevra.
In definitiva cari ragazzi sarà anche compito vostro attraverso le vostre capacità, la vostra intelligenza e la vostra sete di giustizia continuare a costruire una società più giusta che si basi sempre più su una più equilibrata distribuzione del reddito in modo tale che si riducano in modo significativo le differenze tra ricchi e poveri e ognuno abbia il necessario per vivere. Ma vogliamo anche che con l’impegno nello studio possiate raggiungere competenze tecniche tali da competere con gli altri ragazzi europei e consentire all’Italia di mantenere sempre alta la sua bandiera nel confronto con gli altri paesi europei e del mondo. Viva l’Italia e viva l’Itis cerebotani.

Il Dirigente Scolastico – Vincenzo Condello